Il piano che il ministro delle Finanze greco illustra ai leader europei in questi giorni prevede la conversione di parte del debito in titoli indicizzati alla crescita del paese. La proposta avrebbe diversi vantaggi, ma la sua realizzazione è ostacolata da una grave difficoltà tecnica.
I DERIVATI NELLA VALIGIA DEL MINISTRO
Uno spettro si aggira per l’Europa: l’ingegneria finanziaria.
Il ministro delle Finanze greco, Yannis Varoufakis, gira l’Europa proponendo un pacchetto di ristrutturazione del debito basato su due punti. Il primo è la conversione del debito verso il vecchio fondo salva-stati Efsf e gli altri paesi europei in titoli di debito indicizzati alla crescita dell’economia (growth bond). Il secondo è la conversione dell’esposizione verso la Bce in titoli irredimibili.
Mentre i titoli irredimibili ci riportano ai secoli passati, e alla preistoria della finanza, la proposta dei titoli indicizzati alla crescita è, appunto, ingegneria finanziaria. Ma l’idea è particolarmente interessante e merita un approfondimento sia sui vantaggi che sulle difficoltà di attuazione.
Prima di tutto, però, è il caso di ricordare che stiamo parlando di una proposta che riguarda l’involucro di un progetto di ripresa per la Grecia, piuttosto che il progetto stesso. In altri termini, il ministro Varoufakis sta mostrando ai paesi europei un abito senza l’indicazione dell’evento per il quale verrà indossato. E l’incuranza con cui sceglie la propria mise per incontrare i suoi interlocutori sembra essere una metafora della sua proposta finanziaria: i titoli indicizzati alla crescita come un vestito comodo, adatto per ogni occasione. La descrizione del progetto per la crescita della Grecia verrà dopo.
Questa riflessione ci consente di spiegare la dissonanza apparente di un ministro di estrema sinistra che in tenuta casual va a offrire derivati (perché di questo stiamo parlando) ai potenti di Europa. E la dissonanza sembra ancora più profonda se consideriamo che la crisi del debito sovrano europeo era partita dalla Grecia per l’utilizzo di derivati a fini di manipolazione contabile: ora ne viene proposta la soluzione ancora attraverso l’utilizzo dei derivati e ancora a partire dalla Grecia.
Ma la dissonanza è solo apparente, perché stavolta i derivati sono a fin di bene.
LO STRANO CASO DEI TITOLI INDICIZZATI ALLA CRESCITA
I titoli indicizzati alla crescita del Pil hanno avuto un destino strano. Il principio che li ispira è semplice: il pagamento di cedole e capitale è legato alla crescita del Pil, con varie formule. Maggiore la crescita, maggiori i pagamenti. Sono comparsi nel 2005, come parte del pacchetto di ri-negoziazione del debito argentino, seguito al default del 2001 e in quella struttura di swap del debito svolgevano solo il ruolo di comparsa. Nella proposta greca, invece, questi titoli avrebbero il ruolo da protagonista e sarebbero proposti in una rinegoziazione con investitori sovrani anziché privati.
Il destino dei growth bond è strano perché sono stati studiati, all’indomani del caso argentino, con grande attenzione dal Fondo monetario internazionale, che era notoriamente a favore di emissioni di titoli di questo tipo da parte dei paesi in via di sviluppo.
Con queste premesse, colpisce che questa forma di indicizzazione non sia diventata uno strumento adottato dal Fondo stesso. Infatti, proprio nel caso di finanziamenti dell’Fmi, condizionati allo svolgimento di “compiti a casa”, questi prodotti avrebbero rappresentato un incentivo credibile alla definizione di piani di aiuto realistici e orientati alla crescita: se l’Fmi avesse proposto politiche di sviluppo inefficaci, ci avrebbe rimesso di tasca sua. Invece, la scelta di caldeggiare la soluzione, ma solo per i crediti degli altri, non ha fornito un segnale propriamente credibile ai mercati.
LA RIDUZIONE DEL RISCHIO
Nella proposta del ministro delle Finanze greco, l’aspetto di incentivo verso i creditori della Troika non è ovviamente presente, perché uno dei punti centrali del piano è il superamento del ruolo della Troika, la fine del suo potere. Ma i growth bond sono un abito che si adatta anche per questa occasione. Vengono proposti alle controparti come strumenti per la riduzione del rischio.
Il meccanismo di riduzione del rischio è sottile, ma può essere spiegato partendo dalla considerazione che i titoli indicizzati alla crescita del Pil sono una sequenza di derivati: nel nostro caso, sono opzioni sulla crescita del Pil greco. Quando acquistiamo un derivato siamo in generale esposti al rischio che la controparte fallisca. Qui la peculiarità, rispetto al rischio di credito di un normale titolo, consiste nel fatto che l’esposizione alla perdita non è data , ma è legata al particolare scenario di valore del derivato quando si verifica il default. Nel caso di eventuali growth bond greci, l’esposizione alla perdita da un default della Grecia dipenderebbe dallo scenario di crescita futura del Pil greco.
Una conclusione naturale di questo ragionamento è che una determinante rilevante del rischio di controparte è data dalla correlazione tra probabilità di default ed esposizione. Se l’esposizione al rischio è più alta quando si verifica il default, il rischio di credito sarà più elevato: è quello che nel rischio di controparte in derivati si chiama “wrong way risk”. Nel caso dei growth bond succede esattamente l’opposto. La riduzione del rischio di credito deriva dal fatto che in questo caso l’esposizione ha una naturale correlazione di segno negativo con il default, e gioca a favore dell’investitore. In concreto, un tasso di crescita del Pil più alto è associato, ceteris paribus, a una probabilità di default più bassa. Se quindi il tasso di crescita atteso del Pil è più alto, il valore della perdita in caso di default (l’esposizione) è più alta, e la probabilità di default è più bassa. Se invece il tasso di crescita è basso, la probabilità di un default sarà più alta, ma il valore dell’esposizione sarà basso. Potremmo chiamare questo effetto “right way risk”, come uno dei pochi casi in cui la correlazione gioca a favore dell’investitore, procurando una copertura “naturale” del rischio di credito. Lo stesso effetto si verifica per i titoli indicizzati all’inflazione.
La proposta di Yannis Varoufakis ha quindi il notevole pregio di fornire ai creditori una protezione dal default superiore a quella dei titoli attuali. Non ha invece alcun carattere di incentivo, come avrebbe invece avuto la stessa proposta fatta dalla Troika. In parole povere, il messaggio di Varoufakis è: la crescita della Grecia è compito di un programma elaborato dai greci; i titoli indicizzati alla crescita vi daranno maggiori guadagni se il programma riesce e vi proteggeranno (parzialmente) dai danni del default in caso contrario.
In linea di principio, il piano è condivisibile. In pratica, la sua realizzazione è legata a una grossa difficoltà tecnica: come assicurare l’equivalenza finanziaria tra i nuovi titoli e quelli esistenti.
Se venissi incaricato di fare i conti, mi mancherebbero due ingredienti difficilmente reperibili: i) la distribuzione di probabilità del tasso di crescita greco; ii) la correlazione tra tasso di crescita del Pil e rischio di default della Grecia. Poiché un mercato di riferimento per estrarre informazioni su questo non c’è (come c’è invece per l’Argentina), si aprirebbe uno strano mercato tra investitori sovrani, forse affiancato da un “mercato grigio” di banche di investimento che potrebbero proporre quotazioni per i growth bond di futura emissione.
Il rischio è che potrebbe rientrare dalla finestra il sospetto che lo scambio possa nascondere un haircut di fatto, con una valutazione a favore della Grecia o un’ulteriore deprivazione della Grecia se il prezzo fosse a favore delle controparti. E il problema ritorna alla domanda centrale della letteratura dei derivati: qual è il fair value?
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