y Jacopo Cossater
Pazza, pazza estate. Non c’è stata giornata di pioggia durante la quale il mio pensiero non sia andato ai tanti vignaioli impegnati a combattere una delle stagioni più piovose che la nostra memoria ricordi. E anche quando tra le nuvole si affacciava un timido raggio di sole bastava aprire Facebook o Twitter per trovare decine di testimonianze relative a tutte le difficoltà della stagione.
Dalla Romagna alla zona del Prosecco, dal Trentino alla zona di Montefalco le mie timeline erano ricche di foto, di commenti, di tristi constatazioni sul meteo del giorno dopo, raramente migliore del precedente. Una raccolta che mentre scrivo si preannuncia davvero complicata e che fa tornare alla mente tutte le problematiche vissute poco più di un decennio fa con il 2002 e le sue (con sparute eccezioni) certo non indimenticabili bottiglie.
Per dire, è notizia di questi giorni che Bertani, storica cantina della Valpolicella, non produrrà l’Amarone Classico 2014. Riprendo pari pari dal comunicato stampa: una scelta precisa, con risvolti economici di grande portata determinata da una convinzione che per Bertani è molto più che una filosofia: la massima ricerca della qualità, che passa attraverso l’appassimento naturale non realizzabile in un’annata come questa, caratterizzata dalle continue piogge. «Chi produce Amarone in fruttai ad appassimento naturale per coerenza al proprio stile, alla propria identità, secondo la tradizione più pura, dovrebbe a nostro avviso rinunciare inevitabilmente a questa annata. Noi abbiamo fatto questa scelta per l’Amarone Classico Bertani», spiega Emilio Pedron, AD del gruppo Bertani Domains, «E’ stata una decisione importante, costosa ma coerente con il nostro stile, la nostra identità, e soprattutto di grande rispetto nei confronti dei nostri consumatori e clienti».
Ogni annata è una storia a sé, si dice. Io per esempio sono un grande fan di quella del 2010. Senza infatti stare a scomodare alcune delle più importanti denominazioni italiane – a Barolo è già considerata come un grande classico – un po’ in tutta la Penisola è vendemmia che si è rivelata come una delle più interessanti degli ultimi tempi. Vini completi, spesso aggraziati ed eleganti. Vini lontani dalla potenza delle annate più calde (ogni riferimento al 2003 non è casuale) e al tempo stesso giocati su un dettaglio che il crescente calore dell’ultimo decennio aveva forse un po’ nascosto. Alcuni dei miei vini del cuore nascono proprio nel 2010. Bottiglie per cui ho fatto pazzie e per le quali ho investito cifre davvero considerevoli, so che sarà affascinante seguirne l’evoluzione nei prossimi anni.
Guardando le nuvole fuori dalla finestra mi chiedo però se, come appassionato, io non abbia anche una certa responsabilità nei confronti di quelle cantine che amo di più. Realtà spesso molto piccole, artigianali e non solo, aziende agricole che un’annata particolarmente sfortunata può mettere in seria difficoltà (scrivo dall’Umbria: basta andare a Montefalco e chiedere informazioni a proposito del 2013 per rendersene conto).
Se quindi da una parte è legittimo entusiasmarsi per l’annata del decennio, dall’altra non è altrettanto importante sostenere coi nostri acquisti anche i prodotti di annate considerate minori? Come se inseguire solamente i vini nelle loro performance più entusiasmanti fosse troppo facile, se rendo l’idea.
In fondo è bellissimo affezionarsi a questa o quella etichetta, conoscerla a fondo in tutte le sue più profonde sfumature e magari tenere da parte l’annata migliore per l’occasione più importante. Un po’ come fece (o quasi) il meraviglioso personaggio di Paul Giamatti in Sideways – Miles – con quel Cheval Blanc del 1961*, una delle vendemmie più memorabili che la storia di Bordeaux ricordi.
*Evabbè, mi piaceva l’idea di chiudere con una citazione cinematografica, se potessi permettermi di conoscere a menadito tutte le annate di Cheval Blanc probabilmente non passerei il mio tempo libero a scrivere su Intra (o forse sì, chissà).
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