by Guido Ascari
La deflazione è un pericolo reale per l’Eurozona: unita alla stagnazione può diventare una tenaglia letale per i paesi con alto debito pubblico. Uscirne si può, a patto di vincere alcuni tabù. Per esempio, avviando una politica di investimenti pubblici finanziata direttamente dalla Bce.
LO SPETTRO DELLA DEFLAZIONE
Uno spettro si aggira per l’Europa: la deflazione. In Italia è già diventato realtà e la tenaglia di stagnazione e deflazione è letale in particolare per paesi a elevato debito pubblico, come il nostro. Nell’area euro i prezzi sono da troppo tempo in continuo rallentamento e senza un intervento chiaro, credibile e massiccio, lo spettro si manifesterà anche a livello europeo.
Spesso, nei commenti giornalistici (e non solo) sembra che la deflazione sia una maledizione divina, mentre è importante che i cittadini europei sappiano che la deflazione è un scelta di (non) policy.
La maggior parte degli economisti ormai concorda che in Europa la situazione di stagnazione più deflazione sia causata da una carenza di domanda. La crisi ha determinato un fiorire di studi su economie in condizioni di trappola della liquidità e di tassi di interesse nominali vicini al limite minimo di zero, e un revival della letteratura su interrelazione fra politica monetaria e fiscale.
I risultati ci dicono molto. Semplificando al massimo:
- la deflazione si combatte generando domanda aggregata e aspettative di futura inflazione;
- in tempi di tassi di interesse a zero, la politica fiscale è meglio equipaggiata di quella monetaria. (1)
È ovvio che la politica fiscale può produrre un aumento diretto di domanda, ma può anche generare aspettative d’inflazione tramite una promessa di aumento delle future tasse sul consumo.
Come scrivono Francesco Giavazzi e Guido Tabellini, una politica di quantitative easing da sola non può funzionare, perché non garantisce che la massa monetaria raggiunga l’economia reale tramite credito e si trasformi in domanda aggregata. Anche l’acquisto di Abs, da solo, non può risolvere il problema.
COME VINCERE I TABÙ
L’Eurozona ha bisogno di un mix di politica economica straordinario per tempi straordinari.
Alla luce della letteratura economica, in una situazione di carenza di domanda e deflazione, è difficile contestare che nel breve periodo una politica fiscale espansiva finanziata con moneta generi crescita temporanea e inflazione.
Su un piano prettamente teorico, e tralasciando per il momento gli (importanti) aspetti politici, una politica di investimenti pubblici finanziata direttamente dalla Bce con moneta sarebbe a mio parere la strada preferibile:
- Il finanziamento con moneta non aumenterebbe il debito pubblico, vincolo imposto dai mercati, dal fiscal compact e sostenuto con forza da alcuni paesi del nord dell’Eurozona;
- Non comporta previsioni di maggiori tasse (o minore spese) future per ripagare l’aumento del debito, diminuendo l’effetto sulla domanda;
- Investimenti pubblici in settori che stimolano la crescita come infrastrutture, educazione e ricerca si trasformano direttamente in domanda aggregata e possono avere effetti positivi di lungo periodo. (2) Si tratterebbe di ampliare il piano Junker finanziandolo direttamente con moneta;
- Una diminuzione delle tasse (sul reddito o sulle imprese), invece non è detto che si traduca in maggiori consumi o in maggiori investimenti in momenti in cui questi agenti sono ancora afflitti da overhang di debito oppure in clima di elevata incertezza. Inoltre, se crediamo sia necessario agire con urgenza in modo coordinato a livello Europeo, potrebbe essere più veloce finanziare cantieri e progetti messi nel cassetto per mancanza di fondi.
- Risultati teorici ed evidenza ci dicono che il moltiplicatore della spesa sia maggiore di quello delle tasse, soprattutto vicino al limite di zero del tasso d’interesse o in recessione. È vero che in paesi ad elevato tasso di corruzione, esiste il pericolo di forte inefficienza. Si potrebbe creare una entità Europea temporanea che controlli e monitori direttamente l’implementazione degli investimenti.
- L’aumento di massa monetaria genera aspettative d’inflazione e la monetizzazione dovrebbe limitare la minimo gli effetti negativi sull’investimento privato. Anzi una manovra così radicale potrebbe determinare un “cambiare verso” delle aspettative.
- Monetizzazione da parte della Bce o finanziamento diretto del debito senza sterilizzazione non hanno differenza sostanziale, se la banca centrale detiene i titoli a scadenza. (3)
Non risolve i problemi di medio periodo
Queste politiche sono fatte per rispondere alla situazione congiunturale, e non risolvono i problemi strutturali che necessitano riforme profonde per dare competitività ad economie come Francia e Italia, per esempio, e quindi renderle capaci di generare crescita duratura nel medio periodo. Queste riforme nel breve potrebbero essere controproducenti per la deflazione (4) e necessitano tempi lunghi per produrre i propri effetti. Non risolverebbero il problema di breve periodo, ma sono fondamentali per non rendere vano questo sforzo. Da qui la necessità di legare il finanziamento monetario degli investimenti pubblici nei singoli paesi a concreti passi in avanti sulle riforme strutturali. Insomma la Bce paga moneta solo se vede cammello.
L’INDIPENDENZA BANCA CENTRALE E LA MONETIZZAZIONE
L’articolo 123 del Trattato vieta alla Bce di finanziare direttamente il debito pubblico (proposta Giavazzi-Tabellini) e tanto meno di finanziare direttamente stampando moneta.
La Bce ha un obiettivo chiaro, il 2 per cento d’inflazione, e lo sta mancando da troppo tempo. Se ci fosse un contratto, sarebbe inadempiente. Uscendo dal testo scritto del suo intervento, a Jackson Hole, Mario Draghi ha detto che la Bce è pronta a usare qualsiasi strumento per raggiungere la stabilità dei prezzi. Quest’affermazione prelude a un secondo “whatever it takes”? Si potrebbe riproporre lo stesso argomento usato per giustificare l’Omt: dato l’obiettivo, la Banca centrale dovrebbe avere indipendenza sulla scelta dello strumento migliore per perseguirlo, anche se lo strumento ha implicazioni “fiscali”. L’articolo 123 è stato aggirato già con l’Omt, acquistando titoli sul mercato secondario e mettendo quindi un piede nella politica fiscale dei paesi dell’Eurozona. Si tratterebbe ora di entrare a piedi uniti.
Peraltro, forse paradossalmente, il Trattato non mi pare vieti alla Bce né di investire direttamente, né di finanziare i privati, via “helicopter drop” o anche mediante linee di finanziamento dirette.
È del tutto ovvio come, politicamente, questa proposta sarebbe difficilmente accettabile in Europa.
L’Eurozona è malata. Molti paesi, come l’Italia, non possono permettersi altri trimestri di recessione-deflazione. Uscire da questa situazione è una priorità assoluta, bisogna essere creativi e andare al di là di clausole di Trattati pensati per altri momenti storici.
È il momento di rilanciare il “whatever it takes”, se non si vuole lasciare l’Europa alla mercé dei partiti euroscettici, che a quel punto avrebbero un argomento forte: l’inazione dell’Europa di fronte alla crisi.
(1) Per esempio, Correia, I., Farhi E., Nicolini J.P, and Pedro Teles. 2013, “Unconventional Fiscal Policy at the Zero Bound”, American Economic Review, 103(4): 1172-1211, Eggerston, G. and N. R. Mehrotra, 2014, “A Model of Secular Stagnation”, mimeo, Brown University.
(2) Si veda per esempio il recente contributo di M. Fratzscher sul Financial Times, che suggerisce di aumentare gli investimenti tedeschi in questi settori.
(3) È ovvio come nel caso della Bce, che sovraintende una zona euro a 18 paesi, le cose siano un po’ più complicate, ma lo sostanza è questa. Si noti inoltre che questo accade già con il quantitative easing (Ascari in lavoce.info sul carteggio fra il Cancelliere dello Scacchiere e il governatore della Bank of England).
(4)Eggertsson, G., Ferrero, A. and A. Raffo, 2014, “Can structural reforms help Europe?”, Journal of Monetary Economics, 61, 2-22.
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